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15 anni fa il Dottor Dennis Lo, professore di patologia di Hong Kong, dimostrò la presenza di sequenze di DNA fetale libero circolante nel sangue materno, e per molto tempo diversi medici e ricercatori sia in Italia che nel mondo si sono chiesti come sfruttare questa informazione per ottenere una diagnosi prenatale meno invasiva e più sicura per tutte le donne in gravidanza.
Presentato nei primi mesi del 2012 ai vari congressi di ostetricia e ginecologia, è arrivato negli ospedali americani ad ottobre, ma dai primi mesi del 2013 è disponibile anche in diversi centri italiani.
Ma cos’è?Di cosa si tratta? Da un semplice prelievo di sangue venoso è possibile individuare il DNA del nascituro e capire se il feto è geneticamente sano,dando una risposta alla futura mamma in gravidanza senza che si sottoponga alla villocentesi o all’amniocentesi. Il macchinario infatti identifica e quantifica le sequenze di DNA riuscendo a differenziare da pochi ml di sangue il DNA del feto da quello della mamma.
Cosa si intende per DNA fetale? Il DNA fetale è il DNA appartenente al nascituro, ma in questo caso più che di DNA fetale si tratta di DNA proveniente dal trofoblasto, un tessuto di rivestimento dei villi placentari. Questo tessuto rilascia nel torrente sanguigno materno frammenti di DNA delle proprie cellule, quindi DNA e cellule appartenenti al feto-bambino. Avendo a disposizione DNA frammentato proveniente dal compartimento fetale, è possibile analizzarlo e avere notizie, informazioni riguardanti il bambino.
MA Cosa è possibile sapere del nascituro mediante questo test? Nel sangue materno è presente circa un 10% di DNA fetale, con questo macchinario è’ possibile isolarlo e ci può fornire informazioni riguardo la Sindrome di Down (Trisomia 21) o altre malattie cromosomiche a carico del nascituro come ad esempio la Sindrome di Turner o la Trisomia 18.
Quanto è attendibile l’esame? Sebbene la letteratura ancora non possieda dati epidemiologici, le pubblicazioni disponibili, provenienti da ricercatori seri e conosciuti, indicano che il test è estremamente attendibile per la diagnosi della Sindrome di Down, con valori paragonabili a quelli ottenuti mediante la villocentesi (quindi oltre il 99% di sensibilità), ma è anche fortemente diagnostico per la Trisomia 18 (sensibilità del 97%) e per le patologie del cromosomi sessuali X e Y (fra cui appunto la Sindrome di Turner la cui sensibilità di attesta al 95%). In caso di test positivo, si raccomanda sempre l’esecuzione della villo centesi o della amniocentesi per valutare tutto il quadro cromosomico fetale (il così detto cariotipo). Va evidenziato che la percentuale di falsi positivi e cioè di donne che ricorreranno inutilmente alla esecuzione della villo o amniocentesi è estremamente bassa, pari allo 0.2% per la Sindrome di Down e dell’1% per la Sindrome di Turner. Per contro la percentuale di falsi negativi si approccia allo 0.
A chi fare il test del DNA e quando farlo? Non tutte le donne gravide devono fare il test. Le indicazioni per eseguire il test sono abbastanza specifiche. Si raccomanda alle donne positive allo screening combinato (detto anche bi-test), di età oltre i 35 anni, con quadri ecografici riconducibili alla sindrome di Down , o a quelle donne con precedenti gravidanze Down . Il test di può fare già a 10 settimane compiute di gravidanza. L’esecuzione del test riduce sensibilmente la percentuale di ricorso alla villo centesi o alla amniocentesi.
Chi non può fare il test del DNA? Purtroppo le gravidanze gemellari sono ad oggi escluse da questo esame, in quanto nel sangue si troverebbe combinato il DNA fetale di entrambi i bambini, così come la presenza di alcune rare condizioni materne.
Quando e dove si esegue il test? Nei prossimi mesi anche in Italia il prelievo del campione sarà disponibile privatamente in diversi Centri e verrà eseguito da Laboratori Specializzati in Genetica. Il contro ad oggi sono purtroppo i costi non essendo ancora rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale, che si attesteranno intorno ai 1000 euro. Si spera però che presto visto gli innumerevoli vantaggi e soprattutto il minor rischio di abortività questa situazione possa cambiare.
Fonte:
ilfattobresciano.it
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